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SESSIONI PARALLELE / PARALLEL SESSIONS

Sessione 1

L’approccio ecosistemico alla pianificazione spaziale
The Ecosystem Approach to Spatial Planning

Coordinator: Silvio Cristiano e Corrado Zoppi

Sessione 1

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La prospettiva adottata in questa Sessione, in relazione alla gestione dei processi di transizione ecologica, energetica ed economica, si basa sul paradigma della pianificazione territoriale orientata alla massimizzazione dei benefici prodotti dagli ecosistemi.
I servizi ecosistemici (SE) rappresentano benefici materiali e immateriali forniti dagli ecosistemi agli esseri umani attraverso il supporto alla vita (suolo fertile, ciclo dei nutrienti, fotosintesi), l’approvvigionamento (acqua, cibo, materiali, fonti di energia) , la regolazione  dei processi naturali (clima, alluvioni,, etc.) e valori culturali (ricreativi, estetici, spirituali))     (Millennium Ecosystem Assessment, Nazioni Unite, 2001). Questi servizi sono offerti dagli ecosistemi, che sono “complessi dinamici di comunità vegetali, animali e microrganismi e del loro ambiente non vivente che interagiscono come unità funzionale” (Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica, 1992: articolo 2).
I beni e i servizi ecosistemici, definiti univocamente “servizi ecosistemici”, rappresentano, dunque, i benefici che le popolazioni umane traggono, direttamente o indirettamente, dalle funzioni degli ecosistemi. Si possono leggere come un promemoria del fatto che i sistemi umani dipendono necessariamente dai sistemi ecologici, di cui, d’altronde, fanno parte.
L’approccio ecosistemico alla definizione ed all’attuazione delle politiche del territorio si basa, generalmente, sull’idea regolativa che riconosce come prioritaria la salvaguardia dei SE e, qualora se ne manifesti una diminuzione dell’offerta, la loro rigenerazione.
Le valutazioni relative alla dimensione ed alla dinamica evolutiva della disponibilità di SE sono complesse, ed implicano l’attenta considerazione di profili sia quantitativi che qualitativi.


La sessione ha lo scopo di indirizzare questi profili, con particolare attenzione alle seguenti tematiche:

  • gestione sostenibile delle risorse naturali (ad esempio, gestione dell'acqua, cambiamenti nell'uso e nella copertura del suolo, biodiversità) finalizzata alla conservazione o all’aumento della disponibilità dei servizi ecosistemici, ed all’identificazione ed all’efficacia delle infrastrutture verdi e dei corridoi ecologici come dispositivi spaziali reticolari finalizzati alla salvaguardia e all’offerta di servizi ecosistemici;

  • sviluppo e sperimentazione di indicatori per la valutazione dei servizi ecosistemici, dei loro trade-off e dell’efficacia dei summenzionati dispositivi spaziali reticolari     ;

  • sviluppo e implementazione di kit di strumenti per la valutazione dei servizi ecosistemici e di criteri per la pianificazione e la progettazione di azioni che li preservino e/o supportino;

  • valutazione delle potenzialità e dei possibili limiti dei SE e di possibili approcci integrativi o alternativi volti a far fronte in modo (eco)sistemico alle crisi ecologiche-climatiche in atto, supportando coerenti transizioni ecologiche, energetiche ed economiche

  • valutazione dei servizi ecosistemici e sua integrazione nei processi decisionali delle politiche del territorio;

  • relazione tra la disponibilità di infrastrutture verdi e l'adattamento ai cambiamenti climatici e la mitigazione degli impatti della crisi climatica;

  • identificazione dei soggetti beneficiari dei servizi ecosistemici offerti dalle infrastrutture verdi e loro coinvolgimento nelle valutazioni, nella mappatura e nella modellazione;

  • pianificazione degli spazi verdi urbani per concorrere alla neutralità climatica;

  • nature-based solutions in ambito urbano.

 

Parole chiave:

  • adattamento ai cambiamenti climatici;

  • servizi ecosistemici;

  • infrastrutture verdi;

  • nature-based solutions;

  • corridoi ecologici.     

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The perspective adopted in this session, in relation to the management of ecological, energy, and economic transition processes, is based on the paradigm of territorial planning aimed at maximizing the benefits produced by ecosystems. Ecosystem services (ES) represent material and immaterial benefits provided by ecosystems to humans through life support (fertile soil, nutrient cycling, photosynthesis), provisioning (water, food, materials, energy sources), regulation of natural processes (climate, floods, etc.), and cultural values (recreational, aesthetic, spiritual) (Millennium Ecosystem Assessment, United Nations, 2001). These services are offered by ecosystems, which are "dynamic complexes of plant, animal, and microorganism communities and their non-living environment interacting as a functional unit" (United Nations Convention on Biological Diversity, 1992: Article 2).

Ecosystem goods and services, unequivocally defined as "ecosystem services," therefore represent the benefits that human populations derive, directly or indirectly, from ecosystem functions. They can be read as a reminder that human systems necessarily depend on ecological systems, of which they are, after all, a part.

The ecosystem approach to the definition and implementation of territorial policies is generally based on the regulatory idea that recognizes the safeguarding of ES as a priority and, if there is a decrease in their supply, their regeneration.

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Assessments related to the size and evolutionary dynamics of ES availability are complex and involve careful consideration of both quantitative and qualitative profiles:

  • The session aims to address these profiles, with particular attention to the following topics: sustainable management of natural resources (e.g., water management, land use and cover changes, biodiversity) aimed at conserving or increasing the availability of ecosystem services, and identifying and assessing the effectiveness of green infrastructure and ecological corridors as spatial network devices aimed at safeguarding and providing ecosystem services;

  • development and experimentation of indicators for the assessment of ecosystem services, their trade-offs, and the effectiveness of the aforementioned spatial network devices;

  • development and implementation of toolkits for the assessment of ecosystem services and criteria for planning and designing actions that preserve and/or support them;

  • assessment of the potential and possible limits of ES and possible integrative or alternative approaches to address ecological-climatic crises in an (eco)systemic way, supporting coherent ecological, energy, and economic transitions;

  • assessment of ecosystem services and their integration into territorial policy decision-making processes;

  • relationship between the availability of green infrastructure and adaptation to climate change and mitigation of the impacts of the climate crisis;

  • identification of the beneficiaries of ecosystem services offered by green infrastructure and their involvement in assessments, mapping, and modeling;

  • planning of urban green spaces to contribute to climate neutrality;

  • nature-based solutions in urban areas.

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Keywords:

  • climate change adaptation;

  • ecosystem services;

  • green infrastructure;

  • nature-based solutions;

  • ecological corridors.

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Sessione 2

Pianificazione paesaggistica: strategie e rappresentazioni
Landscape Planning: Strategies and Representations 

Coordinator: Francesco Rotondo, Angioletta Voghera

Sessione 2

La Pianificazione paesaggistica ha assunto un ruolo fondamentale nei processi di trasformazione. Dopo la Convenzione Europea del Paesaggio ratificata a Firenze nel 2000, in Italia, il suo livello di cogenza lo rende un elemento dirimente della pianificazione urbanistica. In molte regioni è ancora soltanto un vincolo di tutela, in alcune di quelle che hanno adeguato il piano paesaggistico regionale al Codice Urbani e alla Convenzione Europea, può condurre a diventare il criterio guida di un diverso modo di elaborare i progetti di trasformazione territoriale, in cui il paesaggio e il patrimonio territoriale identitario, reinterpretando Magnaghi, promuovono un diverso modello di sviluppo locale, autosostenibile, ma anche capace di mantenere il livello di benessere economico e sociale a cui nessuno vuole rinunciare. A partire da questo assunto, la sessione intende approfondire le strategie e i modelli di pianificazione paesaggistica che si stanno elaborando in Italia in adeguamento al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio oltre che alla Convenzione Europea ponendo una particolare attenzione alle forme con cui esse vengono rappresentate, ripensando al disegno come forma di interpretazione e modalità di espressione di obiettivi e azioni che le parole non sempre riescono ad esprimere compiutamente e con la stessa immediatezza. La rappresentazione nella pianificazione paesaggistica con funzione di forma di conoscenza del territorio; come strumento per assolvere al compito di costruzione e comunicazione della conoscenza territoriale patrimoniale costruita nel piano; sintesi dell’identità ambientale, territoriale e paesaggistica»; con carattere regolativo e/o prescrittivo, a cui si associa l’apparato delle Norme; comunicazione delle strategie di valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali in progetti di sviluppo locali autosostenibili. La pianificazione urbanistica sembra aver tradito lo spazio nel suo ruolo ordinatore delle trasformazioni territoriali (spesso soffermandosi esclusivamente sulle importanti questioni sociali e ambientali che queste sollevano) mentre il paesaggio sembra costringere la disciplina a rivedere questi approcci. Questa sessione intende approfondire criticamente il ruolo del paesaggio nella pianificazione urbanistica e territoriale in Italia, temi, rischi e opportunità che stanno caratterizzando questa stagione di transizione da una pianificazione prevalentemente orientata ad interpretare il paesaggio come vincolo alla trasformazione, ad una indirizzata a concepire il paesaggio come criterio irrinunciabile per orientare lo sviluppo locale autosostenibile.

 

Parole chiave:

  • Pianificazione del paesaggio

  • Progetto di paesaggio

  • Strategie di paesaggio

  • Patrimonio territoriale

  • Sviluppo locale autosostenibile

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Landscape planning has assumed a fundamental role in transformation processes. After the European Landscape Convention ratified in Florence in 2000, in Italy, its level of cogency makes it a decisive element of urban planning. In many regions, it is still only a protection constraint, but in some of those that have adapted the regional landscape plan to the Urbani Code and the European Convention, it can become the guiding criterion for a different way of developing territorial transformation projects, in which the landscape and territorial heritage, reinterpreting Magnaghi, promote a different model of local, self-sustainable development, but also capable of maintaining the level of economic and social well-being that no one wants to give up. Starting from this assumption, the session intends to delve into the strategies and models of landscape planning being developed in Italy in compliance with the Code of Cultural Heritage and Landscape as well as the European Convention, paying particular attention to the forms in which they are represented, rethinking design as a form of interpretation and mode of expression of objectives and actions that words do not always manage to express fully and with the same immediacy. Representation in landscape planning as a form of knowledge of the territory; as a tool to fulfill the task of building and communicating the territorial heritage knowledge built into the plan; synthesis of environmental, territorial, and landscape identity; with a regulatory and/or prescriptive character, associated with the apparatus of Norms; communication of strategies for the enhancement of the landscape and cultural heritage in local self-sustainable development projects. Urban planning seems to have betrayed space in its role as an organizer of territorial transformations (often focusing exclusively on the important social and environmental issues they raise), while the landscape seems to force the discipline to review these approaches. This session intends to critically explore the role of the landscape in urban and territorial planning in Italy, themes, risks, and opportunities characterizing this transition period from planning predominantly oriented to interpreting the landscape as a constraint to transformation, to one aimed at conceiving the landscape as an indispensable criterion for guiding local self-sustainable development.

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Keywords:

  • Landscape planning;

  • Landscape project;

  • Landscape strategies;

  • Territorial heritage;

  • Local self-sustainable development.

Sessione 3

L’università civica per la pianificazione urbanistica e territoriale: 
buone pratiche di ingaggio nei territori

The Civic University for Urban and Territorial Planning: Good Practices of Engagement in the Territories

Coordinator: Valeria Lingua, Gilda Berruti

Sessione 3

Rispetto alle tre missioni dell’Università (insegnamento, ricerca e rapporti con i territori), quella all’interfaccia con i territori e le istituzioni di appartenenza ha assunto in questa decade una sempre maggiore attenzione, non solo in termini di mera valutazione della qualità della ricerca, ma come vero e proprio ingaggio dell’ente negli ambiti territoriali di riferimento. Se in un primo momento era genericamente richiamata come “terza missione”, oggi è sempre più un orientamento strategico degli Atenei, che reinterpretano il loro ruolo dal punto di vista degli impatti sulla società. Definita con il termine “engagement” implica, in relazione alle attività accademiche, l’attivazione di modalità di interazione e collaborazione tra l’istituzione universitaria e le istituzioni del contesto di riferimento a tutti i livelli, ma anche tra i docenti e le loro comunità, per lo scambio, mutualmente vantaggioso, di conoscenze e risorse in un contesto di partnership: un processo che coinvolge comunità, amministratori, studenti e ricercatori.

La reciprocità implica uno scambio alla pari, in cui la condivisione di conoscenze, la discussione dei problemi e l’individuazione di possibili soluzioni per tendere verso futuri condivisi si svolge in una situazione di dialogo aperto che include il rispetto e porta a modalità di mutuo apprendimento in cui non solo i cittadini possono entrare a contatto con la ricerca scientifica e con forme di alfabetizzazione al futuro, ma gli accademici stessi hanno l'opportunità di approfondire la comprensione del mondo, mettendo in discussione preconcetti e lasciando che assunzioni scientifiche siano messe in discussione dall'esperienza dei non-addetti ai lavori (Reardon 2006), per confutarle o rafforzarle nelle argomentazioni.

L’approccio engaged alla ricerca viene teorizzato in primis negli Stati Uniti, dove negli anni Novanta sono maturate importanti critiche all’incapacità delle università, vere e proprie “torri d’avorio” del sapere, di farsi carico dei problemi più urgenti e rilevanti della società, invocando la necessità di costruire maggiori rapporti con il territorio (Boyte e Hollander 1999, Strand et al. 2003, Votruba 1992). Si tratta, in primo luogo, di superare una visione utilitaristico-unilaterale per cui l’università debba avere un aiuto più o meno diretto nel suo territorio per svolgere le proprie attività di insegnamento e ricerca (Votruba 1992, Shön 1995, Boyer 1996, Loredo 2007, Cognetti 2013, Bornmann 2013) o debba svolgere un ruolo “imprenditoriale” concentrandosi sui legami con le imprese e puntando sulla commercializzazione e sulla promozione dell'istruzione superiore, per focalizzarsi sul ruolo dell’istituzione “engaged” e impegnata sui territori (Goddard et al. 2016).

Il concetto di ingaggio attribuisce all’università un ruolo che va oltre l’imprenditorialità e si focalizza sull’istituzione come “àncora” nei territori (Goddard & Vallace, 2013), quindi sulla sua funzione civica per lo sviluppo del sistema socio-economico di riferimento. L’ "Università civica" può avere un enorme impatto sullo sviluppo e sulla valorizzazione dei contesti locali, spostando il focus dall'essere semplicemente localizzata in un territorio all'essere parte attiva di quel territorio.

"L'università civica impegnata è quella che offre opportunità alla società di cui fa parte. Si impegna nel suo complesso con l'ambiente circostante, non in modo frammentario; collabora con altre università ed istituti superiori ed è gestita in modo da garantire la piena partecipazione al territorio di cui è parte. Pur operando su scala globale, si rende conto che la sua ubicazione contribuisce a formare la sua identità e a fornirle l'opportunità di crescere e, al contempo, di aiutare altri, compresi i singoli studenti, le imprese e le istituzioni pubbliche, a crescere" (Goddard 2009:5, trad. dell’autrice).

Questa prospettiva implica che l'università come istituzione si raffronti non solo con il mondo dell’istruzione avanzata, ma anche con quello del territorio su cui insiste, attraverso un impegno attivo e reciproco con un'ampia gamma di istituzioni, gruppi e organizzazioni locali e regionali (Goddard e Vallance, 2013).

In una dimensione di apertura e sperimentazione di public engagment, l’università è intesa come luogo “non fisico” di una diversa diffusione della conoscenza prodotta attraverso la costruzione di reti di relazioni. È quindi veicolo di un mutuo apprendimento in cui i cittadini acquisiscono sapere, si riuniscono per documentarsi e per discutere insieme a enti pubblici, ricercatori e studenti.

Questo approccio implica un impegno da parte degli accademici a lavorare in collaborazione con partner non accademici (enti pubblici, imprese, associazioni, cittadini) per trovare soluzioni a esigenze e sfide specifiche del contesto. Questo reciproco impegno può avere impatti socioeconomici sia in ambito accademico che sui territori. I risultati accademici riguardano lo sviluppo di nuove direzioni di ricerca determinate dall’emersione di nuove domande ed esigenze dal territorio, che richiedono approfondimenti e soluzioni creative che non sarebbero emersi svolgendo ricerca accademica pura (Coates e McCormick, 2014). I risultati non accademici sui territori riguardano gli attori coinvolti, che possono essere maggiormente impegnati nella loro azione e acquisire nuove conoscenze e capacità critiche nel tentativo di comprendere e risolvere le sfide della società.

In generale, l'approccio dell'Università all'impegno civico si struttura intorno al cambiamento della percezione pubblica, alla costruzione di connessioni strategiche con gli stakeholder locali e globali, mettendo in primo piano l'importanza del luogo. Attraverso l'“ingaggio universitario territoriale” (Saija 2016) nel processo, i ricercatori concorrono ad attivare modalità di acquisizione di consapevolezza, reframing e ripensamento della percezione del territorio e del suo futuro da parte dell'intera comunità (Lingua e Caruso 2022).

 

Focus di questa sessione è l’apporto che l'impegno civico dell’Università può dare alla formazione, sviluppo e implementazione delle pratiche di pianificazione urbanistica e territoriale nei territori e nelle città (civitas) di riferimento. Considerato che le forme di ingaggio possono andare dalla semplice trasmissione della conoscenza all’empowerment, la sessione si interroga su:

  • forme e modalità di ingaggio dell’università sui territori, dal ricercatore impegnato a concorrere a processi di ricerca-azione all’istituzione che, attraverso convenzioni e rapporti formalizzati, si fa parte attiva del percorso di pianificazione

  • intensità della relazione e dell’integrazione tra società e università, dalla semplice informazione alla collaborazione al percorso (cf. fig. 1)

  • esiti in termini di impatti sul territorio (es. istituzionalizzazione dei percorsi, attivazione di comunità, approvazione e implementazione di strumenti di pianificazione urbana e territoriale, …)

I contributi presentati in questa sessione concorreranno al premio “Università nei/per i territori”.

 

Riferimenti bibliografici

  • Bornmann, L. (2013) What is Societal Impact of Research and How Can it be Assessed? A Literature Survey’. Journal of the American Society for Information Science and Technology, 64: 217–33.

  • Boyte H., Hollander E. (1999). «Wingspread declaration on renewing the civic mission of the American research university». The Wingspread Conference, Racine, WI, p.16.

  • Geddes P. (1915), Cities in Evolution: An Introduction to the Town Planning Movement and the Study of Civics, HardPress Publishing, Lennox, 2012.

  • Goddard J. (2009), Reinventing the Civic University, London: NESTA.

  • Goddard J., Vallance P. (2013), The University and the City, Abingdon:Routledge

  • Goddard, J., Hazelkorn, E., Kempton, L., & Vallance, P. (Eds.). (2016). The Civic University. The policy and leadership challenges, Cheltenham, UK: Edward Elgar Publishing.

  • Lingua V. (2022), REGIONAL DESIGN. Progettare l’area vasta, Listlab, Trento, p. 285

  • Lingua V., Caruso E. (2022), Futures Literacy as a reading key for strategic spatial planning: A community learning process for defining shared futures in the Ombrone River Agreement, in FUTURES, Vol. 140, 102935

  • Loredo P., 2007, «Revisiting the Third Mission of Universities: Toward a Renewed Categorization of University Activities?», Higher Education Policy, vol. 20, pp. 441-456, doi: 10.1057/palgrave.hep.8300169.

  • Reardon K.M. (2006), Promoting reciprocity within community/university development partnerships: Lessons from the field, Planning, Practice & Research, 21:1, 95-107

  • Saija L. (2016), La ricerca-azione in pianificazione territoriale e urbanistica, FrancoAngeli, Milano

  • Schön, D.(1995), The reflective practitioner—how professionals think in action (Aldershot, Arena)

  • Strand Kerry J., Cutforth N., Stoecker R., Marullo S. and Donohue P. (2003). Community-based research and higher education: Principles and practices. John Wiley & Sons

  • Votruba J.C. (1992), “Promoting the extension of knowledge in service to society”. Metropolitan Universities, 3(3): 72–80

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Regarding the three missions of the University (teaching, research, and relations with the territories), the one at the interface with the territories and the institutions of belonging has assumed increasing attention in this decade, not only in terms of mere evaluation of research quality but as a true engagement of the entity in the territorial areas of reference. Initially generically referred to as the "third mission," today it is increasingly a strategic orientation of universities, which reinterpret their role from the perspective of societal impacts. Defined by the term "engagement," it implies, in relation to academic activities, the activation of modes of interaction and collaboration between the university institution and the institutions of the reference context at all levels, but also between teachers and their communities, for the mutually beneficial exchange of knowledge and resources in a partnership context: a process involving communities, administrators, students, and researchers.

Reciprocity implies an equal exchange, in which the sharing of knowledge, discussion of problems, and identification of possible solutions to strive towards shared futures takes place in an open dialogue situation that includes respect and leads to mutual learning modes in which not only citizens can come into contact with scientific research and forms of future literacy, but academics themselves have the opportunity to deepen their understanding of the world, questioning preconceptions and allowing scientific assumptions to be challenged by the experience of non-experts (Reardon 2006), to refute or strengthen them in arguments.

The engaged research approach was first theorized in the United States, where in the 1990s important criticisms matured regarding the inability of universities, true "ivory towers" of knowledge, to address the most urgent and relevant societal problems, calling for the need to build greater relationships with the territory (Boyte and Hollander 1999, Strand et al. 2003, Votruba 1992). It is primarily about overcoming a utilitarian-unilateral vision in which the university must have more or less direct help in its territory to carry out its teaching and research activities (Votruba 1992, Shön 1995, Boyer 1996, Loredo 2007, Cognetti 2013, Bornmann 2013) or must play an "entrepreneurial" role by focusing on ties with businesses and promoting higher education, to focus on the role of the "engaged" institution committed to the territories (Goddard et al. 2016).

The concept of engagement attributes to the university a role that goes beyond entrepreneurship and focuses on the institution as an "anchor" in the territories (Goddard & Vallace, 2013), thus on its civic function for the development of the socio-economic system of reference. The "Civic University" can have a huge impact on the development and enhancement of local contexts, shifting the focus from simply being located in a territory to being an active part of that territory.

"The engaged civic university is one that offers opportunities to the society of which it is a part. It engages as a whole with its surrounding environment, not in a fragmented way; it collaborates with other universities and higher education institutions and is managed to ensure full participation in the territory of which it is a part. While operating on a global scale, it realizes that its location contributes to shaping its identity and providing it with the opportunity to grow and, at the same time, to help others, including individual students, businesses, and public institutions, to grow" (Goddard 2009:5, author's translation).

This perspective implies that the university as an institution interacts not only with the world of advanced education but also with the territory on which it stands, through active and reciprocal engagement with a wide range of local and regional institutions, groups, and organizations (Goddard and Vallance, 2013).

In a dimension of openness and experimentation of public engagement, the university is understood as a "non-physical" place for a different dissemination of knowledge produced through the construction of networks of relationships. It is therefore a vehicle for mutual learning in which citizens acquire knowledge, gather to inform themselves, and discuss together with public entities, researchers, and students.

This approach implies a commitment by academics to work in collaboration with non-academic partners (public entities, businesses, associations, citizens) to find solutions to specific needs and challenges of the context. This reciprocal commitment can have socio-economic impacts both in academia and in the territories. Academic results concern the development of new research directions determined by the emergence of new questions and needs from the territory, requiring in-depth studies and creative solutions that would not have emerged by conducting pure academic research (Coates and McCormick, 2014). Non-academic results in the territories concern the actors involved, who can be more engaged in their action and acquire new knowledge and critical skills in an attempt to understand and solve societal challenges.

In general, the University's approach to civic engagement is structured around changing public perception, building strategic connections with local and global stakeholders, emphasizing the importance of place. Through "territorial university engagement" (Saija 2016) in the process, researchers contribute to activating modes of awareness acquisition, reframing, and rethinking the perception of the territory and its future by the entire community (Lingua and Caruso 2022).

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The focus of this session is the contribution that the University's civic engagement can make to the formation, development, and implementation of urban and territorial planning practices in the territories and cities (civitas) of reference.

 

Considering that forms of engagement can range from simple knowledge transmission to empowerment, the session questions:

  • forms and modes of university engagement in the territories, from the researcher engaged in contributing to action-research processes to the institution that, through formalized agreements and relationships, becomes an active part of the planning process;

  • intensity of the relationship and integration between society and university, from simple information to collaboration in the process (cf. fig. 1);

  • outcomes in terms of impacts on the territory (e.g., institutionalization of processes, community activation, approval and implementation of urban and territorial planning tools, ...).
     

The contributions presented in this session will compete for the "University in/for the Territories" award (title to be reviewed).

Sessione 4

Piani, Parchi e biodiversità
Plans, Parks, and Biodiversity

Coordinator: Angioletta Voghera

Sessione 4

Parchi naturali e aree protette sono custodi della biodiversità e del patrimonio integrato di valori naturali e culturali, e rappresentano una ricchezza di territori e paesaggi articolati in categorie di tutela, cresciuta con continuità e in modo esponenziale negli ultimi decenni in linea con il trend globale (in Europa 26% terrestri, 12.3% marine, EEA 2022), interessando oggi circa l’11% del territorio nazionale. La pianificazione dei parchi naturali conferma il ruolo di territorio pilota anticipatore di approcci nel territorio ordinario. La pianificazione e la gestione sono banco di prova per sperimentare modelli di integrazione di temi strategici in un’ottica relazionale con il territorio di contesto e con i piani alle varie scale: il consumo di suolo, l’abbandono e la marginalità, la frammentazione degli ecosistemi e del paesaggio, il progetto delle green and blue infrastructures, la valutazione dei servizi eco-sistemici, rischi e vulnerabilità, l’efficacia di gestione, la valutazione e il monitoraggio (IUCN Green List), il turismo sostenibile e di prossimità, la green economy, il rapporto tra piani diversi incidenti sullo stesso territorio. 

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Natural parks and protected areas are custodians of biodiversity and the integrated heritage of natural and cultural values. They represent a wealth of territories and landscapes articulated in categories of protection, which have grown continuously and exponentially in recent decades in line with the global trend (in Europe 26% terrestrial, 12.3% marine, EEA 2022), currently covering about 11% of the national territory. The planning of natural parks confirms the role of pilot territories anticipating approaches in ordinary territories. Planning and management are testing grounds for experimenting with models of integrating strategic themes in a relational perspective with the surrounding territory and with plans at various scales: land consumption, abandonment and marginality, fragmentation of ecosystems and landscapes, the design of green and blue infrastructures, the evaluation of ecosystem services, risks and vulnerabilities, management effectiveness, evaluation and monitoring (IUCN Green List), sustainable and proximity tourism, the green economy, and the relationship between different plans affecting the same territory.

Sessione 5

La doppia responsabilità nella pianificazione di fronte alle transizioni contemporanee
The Double Responsibility in Planning in the Face of Contemporary Transitions

Coordinator: Domenico Passarelli

Sessione 5

È evidente la necessità di far emergere quella coscienza conoscitiva e critica delle attuali condizioni di debolezza che sta caratterizzando a tutti i livelli la pianificazione con particolare riguardo alla scala comunale. I costi delle transizioni sono molto alti con la penalizzazione dei settori economici e sociali, oltreché ambientali. La responsabilità di tale fallimento non può essere attribuita solo ad una parte dell’agire urbanistico. E’ opportuno che si indaghi fino in fono sulla doppia responsabilità, tecnica e amministrativa non attribuendo, aprioristicamente, ragioni di incapacità a nessuna delle due parti. Il mondo della ricerca ha fatto senza dubbio molti passi in avanti nel comprendere la dimensione qualitativa del progetto di piano nell’ambito delle cosiddette transizioni contemporanee. Forse anche la parte politica/amministrativa ha dimostrato significativi avanzamenti. In tal senso vale la pena approfondire entrambi le facce della stessa medaglia. Da una parte esplorando le buone pratiche che hanno caratterizzato la pianificazione senza però trovare riscontro efficace nelle politiche di governance; dall’altra valutando la capacità politica di governare le trasformazioni urbane e territoriali in assenza di piani, programmi e normative urbanistiche, adeguati ai cambiamenti in atto. La sessione offre l’opportunità di verificare l’attuale stato di avanzamento del tema con l’obiettivo di ricercare quel dialogo positivo che nel passato non ha sovente caratterizzato l’agire urbanistico. In continuità con lo spirito del position paper della Giornata di studio si invitano gli autori a presentare: 1) ricerche scientifiche, anche di lavori in corso per il quale c’è l’interesse a ottenere suggerimenti e indicazioni, oppure in forme più mature per verifiche e confronti nell’ambito della sessione; 2) riflessioni critiche su piani e programmi conclusi o in atto da cui si traggono esperienze e criteri generalizzabili d’aiuto ai processi di transizione.   

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It is evident the need to bring out that cognitive and critical awareness of the current conditions of weakness that is characterizing planning at all levels, particularly at the municipal scale. The costs of transitions are very high, penalizing economic and social sectors, as well as environmental ones. The responsibility for this failure cannot be attributed solely to one part of urban planning. It is appropriate to investigate thoroughly the double responsibility, technical and administrative, without attributing, a priori, reasons of incapacity to either party. The research world has undoubtedly made significant progress in understanding the qualitative dimension of the plan project within the so-called contemporary transitions. Perhaps the political/administrative part has also shown significant advancements. In this sense, it is worth exploring both sides of the same coin. On the one hand, exploring the good practices that have characterized planning without finding effective feedback in governance policies; on the other hand, evaluating the political capacity to govern urban and territorial transformations in the absence of plans, programs, and urban regulations, adequate to the changes taking place. The session offers the opportunity to verify the current state of progress on the topic with the aim of seeking that positive dialogue that in the past has not often characterized urban planning. In line with the spirit of the study day's position paper, authors are invited to present: 1) scientific research, including ongoing work for which there is interest in obtaining suggestions and indications, or in more mature forms for verification and comparison within the session; 2) critical reflections on concluded or ongoing plans and programs from which experiences and generalizable criteria useful to transition processes can be drawn.

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Sessione 6

Città pubblica: diritto alla casa come diritto alla città
Public City: Right to Housing as Right to the City 

Coordinator: Gilda Berruti

Sessione 6

La questione abitativa è tornata recentemente al centro dell’attenzione nella ricerca e nell’opinione pubblica, a fronte di divari e disuguaglianze crescenti tra parti di città, lotte sentite di gruppi e comitati, politiche e progetti costruiti dai governi locali, spesso con il PNRR. In particolare, la dotazione residenziale pubblica è fortemente sottodimensionata rispetto ai bisogni delle città. L’edilizia residenziale pubblica esistente è localizzata in gran parte in aree urbane caratterizzate da forte marginalità economica e sociale e da consistenti fenomeni di degrado, e richiede seri interventi di rigenerazione, che necessitano di attivare un’azione di riequilibrio con le città.

Dare spazio al diritto alla casa e alla riconfigurazione dell’edilizia residenziale pubblica costituisce una questione urbana strutturale da affrontare da tempo e cartina di tornasole rispetto alle questioni sociali esistenti nei territori. Non solo lo spazio ha un peso, rispetto alla condizione di perifericità, ma è interessante esplorare anche in che modo lo spazio conta con i suoi multipli aspetti, nella vita della città pubblica.

La sessione raccoglie ricerche, casi di studio, esperienze, che mirano a riequilibrare i quartieri di edilizia residenziale pubblica realizzati nel corso del secolo scorso, la cosiddetta “città pubblica”, con il resto della città, testimoniando una tensione al superamento delle disuguaglianze sociali e spaziali e all’abbattimento dei confini, materiali ed immateriali, tra zone percepite come diverse e diseguali.

La sessione accoglie contributi che trattano, dal punto di vista teorico e pratico, i seguenti temi: Come le città si stanno attivando rispetto alla crisi abitativa nella città pubblica? Quali sono i dispositivi di regolazione e di governance adottati? Quanto contano le comunità abitanti nei processi di policy-making? Come orientare la transizione, non solo abitativa, verso una città inclusiva?

 

Kwords: public housing, inequalities, housing policies, housing rights, right to the city

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The housing issue has recently returned to the center of attention in research and public opinion, in the face of growing disparities and inequalities between parts of the city, heartfelt struggles of groups and committees, policies and projects built by local governments, often with the PNRR. In particular, the public residential supply is significantly undersized compared to the needs of the cities. The existing public residential buildings are largely located in urban areas characterized by strong economic and social marginality and significant degradation phenomena, requiring serious regeneration interventions that need to activate a rebalancing action with the cities. Giving space to the right to housing and the reconfiguration of public residential buildings constitutes a structural urban issue to be addressed for a long time and a litmus test for the existing social issues in the territories. Not only does space matter, concerning the condition of peripherality, but it is also interesting to explore how space counts with its multiple aspects in the life of the public city. The session collects research, case studies, experiences, aiming to rebalance the public residential neighborhoods built during the last century, the so-called "public city," with the rest of the city, testifying to a tension towards overcoming social and spatial inequalities and breaking down the boundaries, material and immaterial, between areas perceived as different and unequal. The session welcomes contributions that address, from a theoretical and practical point of view, the following themes: How are cities activating themselves concerning the housing crisis in the public city? What are the regulatory and governance devices adopted? How important are the resident communities in policy-making processes? How to orient the transition, not only housing, towards an inclusive city?

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Keywords: public housing, inequalities, housing policies, housing rights, right to the city

Sessione 7

Gli spazi pubblici della transizione: flessibilità, salubrità, inclusione, multiadattamento
Public Spaces of Transition: Flexibility, Healthiness, Inclusion, Multi-Adaptation 

Coordinator: Marichela Sepe

Sessione 7

La transizione ecologica, sociale, culturale e sanitaria che caratterizza i territori contemporanei richiede una ridefinizione del ruolo e delle caratteristiche degli spazi pubblici. Questi luoghi, tradizionalmente concepiti come scenari della vita collettiva, devono oggi trasformarsi in dispositivi attivi di resilienza e innovazione. La sessione si propone di esplorare come gli spazi pubblici possano e debbano diventare catalizzatori di transizione, affrontando sfide complesse e multidimensionali.

 

  1. Un primo tema riguarda la necessità di progettare spazi flessibili, capaci di adattarsi a esigenze mutevoli e a eventi imprevisti. Le dinamiche urbane contemporanee, fortemente influenzate da fenomeni globali e locali, richiedono ambienti che possano cambiare funzione e configurazione rapidamente, sostenendo l’uso temporaneo, stagionale o emergenziale. Gli spazi devono poter accogliere attività differenti, da quelle educative a quelle culturali, sportive, sanitarie o sociali, sostenendo la vitalità urbana e promuovendo l'inclusione.
     

  2. Un secondo argomento di riflessione è dedicato agli spazi pubblici aperti dei campus universitari. I campus rappresentano laboratori urbani particolarmente significativi, in cui l'integrazione tra esigenze didattiche, socializzazione e scambio culturale diventa paradigmatica. Occorre interrogarsi su come questi spazi possano rispondere in modo efficace non solo ai bisogni della comunità accademica presente, ma anche a quelli di comunità potenziali e future, garantendo accessibilità, pluralismo d'uso e una progettazione centrata sulla persona. Gli spazi di un campus devono favorire la costruzione di relazioni, supportare nuove forme di apprendimento e vivere come luoghi aperti e permeabili, capaci di dialogare con la città e il territorio.
     

  3. Un ulteriore tema cruciale è quello della salubrità e della vivibilità degli spazi pubblici. Alla luce degli impatti sempre più evidenti dei cambiamenti climatici, è indispensabile concepire luoghi che possano offrire protezione dai rischi ambientali, come ondate di calore o inquinamento, attraverso strategie integrate di mitigazione e adattamento: vegetazione diffusa, materiali permeabili, sistemi di raffrescamento naturale. Tuttavia, oltre alla protezione, gli spazi pubblici devono stimolare stili di vita sani, promuovendo la mobilità dolce, l'attività fisica e il benessere psico-fisico, tramite infrastrutture che rendano attraente e agevole il movimento quotidiano.
     

  4. Un ambito strettamente connesso riguarda la produzione e il consumo di cibi sani in contesti urbani. L’integrazione di orti comunitari, mercati a filiera corta, aree dedicate all’educazione alimentare e spazi per la convivialità sostenibile negli spazi pubblici rappresenta una strategia chiave per riavvicinare le comunità ai cicli naturali e promuovere abitudini alimentari più consapevoli, contribuendo alla sicurezza alimentare e al rafforzamento del tessuto sociale.
     

  5. Un altro tema - trasversale - è quello degli spazi multiadattativi. Il multiadattamento si basa sulla capacità degli spazi pubblici di rispondere simultaneamente e in modo sinergico a diversi tipi di rischio e trasformazione, ovvero ambientale (cambiamenti climatici, dissesti), sociale (ineguaglianze, conflitti), culturale (consumo rapido dei luoghi di interesse culturale, globalizzazione), sanitario (emergenze epidemiche) e trovare un nuovo equilibrio. Gli spazi multiadattativi non sono semplicemente flessibili nel senso funzionale, ma devono incorporare capacità di trasformazione materiale, gestionale e simbolica, anticipando scenari futuri e supportando la resilienza delle comunità.
     

  6. L'ultimo tema proposto riguarda l'impatto delle tecnologie di intelligenza artificiale sugli spazi pubblici. L'IA può essere impiegata per ottimizzare l'uso delle risorse ambientali (gestione dell'acqua, dell'energia, del verde), monitorare e migliorare la qualità della vita urbana (attraverso sensori, analisi predittive e modelli adattativi), incrementare la sicurezza, personalizzare l'esperienza d'uso degli spazi o supportare la governance partecipata tramite strumenti digitali. Tuttavia, l'integrazione dell'IA pone anche interrogativi etici e sociali: quali sono gli effetti sulla privacy, sull'accessibilità e sul controllo? Quali sono le buone pratiche o gli orientamenti affinché l'intelligenza artificiale possa essere indirizzata per rendere gli spazi pubblici più inclusivi e resilienti evitando nuove forme di esclusione?

 

 

 

Su questi temi – senza escluderne altri ad essi correlati – la sessione si propone di raccogliere contributi teorici, illustrazione di casi studio, nuove metodologie progettuali e approcci critici, promuovendo un dibattito interdisciplinare volto a delineare gli spazi pubblici come infrastrutture strategiche della transizione contemporanea.

 

Parole chiave:

  • Spazi pubblici flessibili

  • Spazi pubblici vivibili

  • Campus universitari

  • Spazi per Salubrità alimentare

  • Spazi pubblici multiadattivi

  • Intelligenza artificiale

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The ecological, social, cultural, and health transition characterizing contemporary territories requires a redefinition of the role and characteristics of public spaces. These places, traditionally conceived as scenarios of collective life, must today transform into active devices of resilience and innovation. The session aims to explore how public spaces can and should become catalysts of transition, addressing complex and multidimensional challenges.

  1. The first theme concerns the need to design flexible spaces, capable of adapting to changing needs and unforeseen events. Contemporary urban dynamics, strongly influenced by global and local phenomena, require environments that can quickly change function and configuration, supporting temporary, seasonal, or emergency use. Spaces must be able to accommodate different activities, from educational to cultural, sports, health, or social, supporting urban vitality and promoting inclusion.

  2. A second topic of reflection is dedicated to the open public spaces of university campuses. Campuses represent particularly significant urban laboratories, where the integration of educational needs, socialization, and cultural exchange becomes paradigmatic. It is necessary to question how these spaces can effectively respond not only to the needs of the present academic community but also to those of potential and future communities, ensuring accessibility, pluralism of use, and person-centered design. Campus spaces must foster the construction of relationships, support new forms of learning, and live as open and permeable places, capable of dialoguing with the city and the territory.

  3. Another crucial theme is the healthiness and livability of public spaces. In light of the increasingly evident impacts of climate change, it is essential to conceive places that can offer protection from environmental risks, such as heatwaves or pollution, through integrated mitigation and adaptation strategies: widespread vegetation, permeable materials, natural cooling systems. However, beyond protection, public spaces must stimulate healthy lifestyles, promoting soft mobility, physical activity, and psycho-physical well-being, through infrastructures that make daily movement attractive and easy.

  4. A closely related area concerns the production and consumption of healthy food in urban contexts. The integration of community gardens, short supply chain markets, areas dedicated to food education, and spaces for sustainable conviviality in public spaces represents a key strategy to bring communities closer to natural cycles and promote more conscious eating habits, contributing to food security and strengthening the social fabric.

  5. Another transversal theme is that of multi-adaptive spaces. Multi-adaptation is based on the ability of public spaces to respond simultaneously and synergistically to different types of risk and transformation, namely environmental (climate change, landslides), social (inequalities, conflicts), cultural (rapid consumption of places of cultural interest, globalization), health (epidemic emergencies) and find a new balance. Multi-adaptive spaces are not simply flexible in the functional sense, but must incorporate material, managerial, and symbolic transformation capacities, anticipating future scenarios and supporting community resilience.

  6. The last proposed theme concerns the impact of artificial intelligence technologies on public spaces. AI can be used to optimize the use of environmental resources (water, energy, green management), monitor and improve urban quality of life (through sensors, predictive analysis, and adaptive models), increase security, personalize the user experience of spaces, or support participatory governance through digital tools. However, the integration of AI also raises ethical and social questions: what are the effects on privacy, accessibility, and control? What are the best practices or guidelines to ensure that artificial intelligence can be directed to make public spaces more inclusive and resilient, avoiding new forms of exclusion?

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On these themes – without excluding others related to them – the session aims to collect theoretical contributions, case studies, new design methodologies, and critical approaches, promoting an interdisciplinary debate aimed at outlining public spaces as strategic infrastructures of contemporary transition.

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Keywords: flexible public spaces, livable public spaces, university campuses, spaces for food healthiness, multi-adaptive public spaces, artificial intelligence

Sessione 8

Le diverse facce della transizione energetica
The Different Faces of the Energy Transition 

Coordinator: Francesca Calace

Sessione 8

Uno degli aspetti apparentemente più condivisi della transizione ecologica è quello che riguarda l’energia. Fatta eccezione per le riemergenti posizioni estreme di ripensamento sulla decarbonizzazione e quelle sul nucleare, anche alimentate dalla crisi multipla in corso, tutti condividono la necessità di abbandonare le fonti fossili in favore di quelle rinnovabili. Le politiche UE da ormai un ventennio ne promuovono il ricorso, con una potente accelerazione nel 2019 con il Green Deal europeo, che prevede inoltre il coinvolgimento attivo delle comunità nella produzione e gestione dell’energia. Una combinazione di buone intenzioni e di notevoli incentivi che tuttavia, alla prova della realtà, mostra diverse facce e traiettorie complesse. 

Il modello è quello dello stimolo al mercato e del ricorso a capitali privati, che in Italia si coniuga con una evidente rinuncia ad una programmazione territoriale, con il risultato di un assedio al territorio determinato da un numero abnorme di istanze rispetto agli obiettivi da raggiungere e una conseguente ostilità diffusa da parte di territori e comunità.

Inoltre, non si sono fatti i conti con l’ambiente, il territorio, le comunità, al punto da far percepire il paesaggio – per di più nella sua sola dimensione estetica – come nemico della transizione energetica. Ma solo apparentemente la questione è di natura estetico-visiva, essendo investite questioni ben più profonde, in ragione delle tipologie di impianti da fonti energetiche rinnovabili e delle opere per installarle e gestirle: consumo e degrado del suolo, perdita di biodiversità, desertificazione, usi del territorio in competizione tra attività agricole ed energetiche, land grabbing, conflitti territoriali, industrializzazione del paesaggio rurale.

La mancanza di una programmazione energetica al livello centrale e la sola accelerazione procedurale senza alcuna visione territoriale fanno sì che il rapporto tra energia e paesaggio sia vissuto in temini di contrapposizione piuttosto che di integrazione; con il duplice nefasto risultato che, da un lato, la logica della transizione energetica è ancora quella della gestione degli impatti, e non quella di un governo integrato del territorio visto anche nei suoi fabbisogni e nella sua componente energetica; dall’altro, che attraverso il paesaggio, la logica del vincolo e delle aree idonee e non idonee possono sì essere preservati i paesaggi di pregio, ma sono sacrificati i paesaggi ordinari, riducendone ulteriormente il valore piuttosto che migliorarlo, come invece prevedono la Convenzione europea del paesaggio e il Codice dei beni culturali e del paesaggio attraverso i piani paesaggistici regionali.

Infine, l’impulso dato alle rinnovabili non è solo il frutto di una convinta adesione al paradigma della transizione ecologica e della decarbonizzazione, ma anche il segnale dell’incalzare di una serie di interessi economici pressanti che spingono nella direzione delle rinnovabili anche perché latita un approccio teso a integrare le politiche energetiche con le altre politiche territoriali e del paesaggio. In poche parole, basta compensare, spesso poco e male.

D’altra parte, stentano a decollare le iniziative locali e dal basso: le Comunità energetiche rinnovabili, strumento innovativo nato con gli obiettivi dell’inclusività, della lotta alla povertà energetica e della efficienza del sistema di produzione e consumo dell’energia, spesso soccombono di fronte alla complessità procedurale e amministrativa. La formazione delle CER si scontra inoltre con la difficoltà a riconoscere e ricostruire comunità in una società frammentata, a meno di alcuni casi pionieri ancora isolati.

In questo scenario, si vogliono raccogliere e discutere ricerche scientifiche, analisi territoriali e dossier, ma anche esperienze sul campo di tipo innovativo e riflessioni critiche su piani e programmi conclusi o in atto, da cui poter trarre metodi e criteri generalizzabili a supporto dei processi di transizione.

 

 

Parole chiave:

  • Impianti FER

  • Comunità energetiche rinnovabili

  • Conflitti territoriali

  • Land grabbing

  • Paesaggio

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One of the seemingly most agreed-upon aspects of the ecological transition is that concerning energy. Except for the re-emerging extreme positions on decarbonization and nuclear power, also fueled by the ongoing multiple crises, everyone agrees on the need to abandon fossil fuels in favor of renewables. EU policies have been promoting their use for two decades now, with a significant acceleration in 2019 with the European Green Deal, which also envisages the active involvement of communities in the production and management of energy. A combination of good intentions and significant incentives that, however, when put to the test of reality, shows different faces and complex trajectories. The model is one of market stimulation and the use of private capital, which in Italy is combined with an evident renunciation of territorial planning, resulting in a siege on the territory caused by an abnormal number of applications compared to the objectives to be achieved and a consequent widespread hostility from territories and communities. Moreover, the environment, the territory, and the communities have not been taken into account, to the point of perceiving the landscape – moreover in its only aesthetic dimension – as an enemy of the energy transition. But the issue is only apparently aesthetic-visual, as much deeper issues are involved, due to the types of renewable energy plants and the works to install and manage them: land consumption and degradation, loss of biodiversity, desertification, competing land uses between agricultural and energy activities, land grabbing, territorial conflicts, industrialization of the rural landscape. The lack of central-level energy planning and the mere procedural acceleration without any territorial vision mean that the relationship between energy and landscape is experienced in terms of opposition rather than integration; with the dual disastrous result that, on the one hand, the logic of the energy transition is still that of impact management, and not that of integrated territorial governance seen also in its needs and energy component; on the other hand, that through the landscape, the logic of constraints and suitable and unsuitable areas can indeed preserve valuable landscapes, but ordinary landscapes are sacrificed, further reducing their value rather than improving it, as instead provided for by the European Landscape Convention and the Code of Cultural Heritage and Landscape through regional landscape plans. Finally, the push towards renewables is not only the result of a convinced adherence to the paradigm of ecological transition and decarbonization but also the signal of the pressure of a series of pressing economic interests that push in the direction of renewables also because an approach aimed at integrating energy policies with other territorial and landscape policies is lacking. In short, just compensate, often poorly and inadequately. On the other hand, local and bottom-up initiatives struggle to take off: Renewable Energy Communities, an innovative tool born with the objectives of inclusiveness, the fight against energy poverty, and the efficiency of the energy production and consumption system, often succumb to procedural and administrative complexity. The formation of RECs also clashes with the difficulty of recognizing and rebuilding communities in a fragmented society, except for some still isolated pioneering cases. In this scenario, we aim to collect and discuss scientific research, territorial analyses, and dossiers, as well as innovative field experiences and critical reflections on concluded or ongoing plans and programs, from which methods and generalizable criteria can be drawn to support transition processes.

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Keywords:

  • Renewable Energy Plants

  • Renewable Energy Communities

  • Territorial Conflicts

  • Land Grabbing

  • Landscape

Sessione 9

Ri-Costruire ?! Piani e processi di ricostruzione e rigenerazione urbana 
Re-Building?! Plans and Processes of Reconstruction and Urban Regeneration

Discussant: Michelangelo Russo e Massimo Sargolini
Coordinator: Alessandro Sgobbo e Carlo Gerundo

Sessione 9

Il Rapporto sulla Promozione della sicurezza dai rischi naturali del patrimonio abitativo, redatto nel 2017 dalla Struttura di Missione Casa Italia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha quantificato in circa 290 miliardi di euro l’ammontare complessivo della spesa pubblica sostenuta negli ultimi settant’anni per interventi riparativi e ricostruttivi a seguito di eventi catastrofici. Tale evidenza, pur nella sua apparente ovvietà, sottolinea la persistente centralità di un paradigma reattivo nella gestione del rischio, fondato sulla ricostruzione post-evento piuttosto che su una strutturata strategia di prevenzione.

L’osservazione, spesso ripetuta, secondo cui un investimento, sistematico e proattivo, nella prevenzione di tale somma avrebbe potuto significativamente ridurre l’esposizione e la vulnerabilità del patrimonio costruito, trascura un elemento cruciale: le risorse non sono disponibili perché mobilitate per far fronte ai disastri del passato. Tuttavia, tale constatazione, sebbene tautologica, veicola un monito fondamentale per il futuro delle politiche urbane e territoriali, soprattutto nei casi di ricostruzione post evento o rigenerazione urbana. Ciò implica il superamento del compromesso tradizionale tra permanenza insediativa e rischio naturale, riconoscendo l’esistenza di una soglia oltre la quale la tolleranza del rischio non è più accettabile, nemmeno in nome della conservazione del valore patrimoniale, storico o identitario dei luoghi. In altri termini, almeno nei casi di ricostruzione o di rigenerazione urbana supportata da investimenti pubblici, si afferma l’urgenza di una governance territoriale che riconosca come non negoziabile la salvaguardia della vita umana, ponendola quale criterio guida per ogni scelta re-insediativa, progettuale e normativa.

Tradizionalmente, a seguito di eventi catastrofici, le risposte istituzionali immediate si configurano entro una cornice retorica di tipo emergenziale, nella quale assume centralità la narrazione di una ricostruzione integrale, rapida e geograficamente aderente alla condizione preesistente, secondo il paradigma del com’era e dov’era. Tale impostazione, tuttavia, trascura un presupposto ormai consolidato nella letteratura urbanistica e nella pianificazione territoriale: le catastrofi, nella maggior parte dei casi, non sono eventi inattesi o imprevedibili; costituiscono viceversa l’epifania di criticità riconducibili a rischi noti e localizzati, la cui incertezza è confinata all’orizzonte temporale di manifestazione.

La mitigazione di alcuni pericoli risulta teoricamente perseguibile, ma impone un’ingente mobilitazione di risorse pubbliche, con inevitabili ricadute allocative in termini di sottrazione di fondi ad altri obiettivi altrettanto urgenti. In altri casi è possibile intervenire sulla riduzione della vulnerabilità del patrimonio edilizio. Tuttavia, tale approccio può generare sperequazione, in quanto gli interventi pubblici post-disastro tendono a concentrarsi su soggetti già colpiti, creando una dicotomia tra chi beneficia di risorse straordinarie e chi, in assenza di danno diretto, rimane esposto, non potendo sostenere autonomamente gli elevati costi di adeguamento.

Nei casi in cui né la mitigazione del pericolo né la riduzione della vulnerabilità risultino efficaci o sostenibili, l’unica opzione razionale di prevenzione riguarda l’esposizione, ovvero la delocalizzazione selettiva di insediamenti e infrastrutture. Tale strategia, tuttavia, si configura come terreno di conflitto tra opposte istanze di valore: da un lato, la tutela del paesaggio e del patrimonio insediativo storico, intesi come risorse identitarie non negoziabili; dall’altro, una visione razionalista e funzionalista che considera la persistenza di usi antropici in contesti ad elevata pericolosità come frutto di scelte insediative storicamente determinate ma oggi non più accettabili in termini di rischio residuo. In tal senso, la pianificazione post-disastro è chiamata a un ruolo di mediazione complessa tra memoria territoriale e sicurezza collettiva con approcci che, nel tempo, si sono evoluti in soluzioni spesso divergenti.

In questo quadro, la sessione invita contributi che esplorino criticamente strategie, strumenti e pratiche capaci di ridefinire l’equilibrio tra sicurezza, memoria e permanenza insediativa nei contesti esposti a rischio. Sono particolarmente incoraggiati interventi che analizzino casi studio, esperienze di pianificazione o percorsi normativi che mettano in discussione approcci reattivi e promuovano modelli di governance orientati alla prevenzione, alla giustizia spaziale e alla sostenibilità delle scelte re-insediative. L’obiettivo è stimolare un confronto interdisciplinare e operativo su come rendere effettivo, nei processi di ricostruzione o rigenerazione, il principio della sicurezza come diritto non negoziabile.

 

Parole chiave:

  • Piani di ricostruzione

  • Rischio e multi-rischio

  • Rigenerazione urbana e resilienza

  • Mitigazione e adattamento

  • Delocalizzazione

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The Report on the Promotion of Safety from Natural Risks of the Housing Heritage, drawn up in 2017 by the Casa Italia Mission Structure at the Presidency of the Council of Ministers, quantified the total amount of public expenditure incurred in the last seventy years for repair and reconstruction interventions following catastrophic events at around 290 billion euros. This evidence, despite its apparent obviousness, underscores the persistent centrality of a reactive paradigm in risk management, based on post-event reconstruction rather than a structured prevention strategy. The often-repeated observation that a systematic and proactive investment in prevention of this amount could have significantly reduced the exposure and vulnerability of the built heritage overlooks a crucial element: resources are not available because they are mobilized to deal with past disasters. However, this observation, although tautological, conveys a fundamental warning for the future of urban and territorial policies, especially in cases of post-event reconstruction or urban regeneration. This implies overcoming the traditional compromise between settlement permanence and natural risk, recognizing the existence of a threshold beyond which risk tolerance is no longer acceptable, not even in the name of preserving the patrimonial, historical, or identity value of places. In other words, at least in cases of reconstruction or urban regeneration supported by public investments, the urgency of territorial governance that recognizes the safeguarding of human life as non-negotiable, placing it as the guiding criterion for every re-settlement, design, and regulatory choice, is affirmed. Traditionally, following catastrophic events, immediate institutional responses are configured within an emergency rhetorical framework, in which the narrative of integral, rapid, and geographically adherent reconstruction to the pre-existing condition, according to the paradigm of "as it was and where it was," assumes centrality. This approach, however, overlooks a premise now consolidated in urban planning and territorial planning literature: disasters, in most cases, are not unexpected or unpredictable events; they constitute the epiphany of criticalities attributable to known and localized risks, whose uncertainty is confined to the temporal horizon of manifestation. The mitigation of some hazards is theoretically achievable, but it requires a significant mobilization of public resources, with inevitable allocative repercussions in terms of diverting funds from other equally urgent objectives. In other cases, it is possible to intervene in reducing the vulnerability of the building stock. However, this approach can generate inequity, as post-disaster public interventions tend to concentrate on already affected subjects, creating a dichotomy between those who benefit from extraordinary resources and those who, in the absence of direct damage, remain exposed, unable to independently bear the high costs of adaptation. In cases where neither hazard mitigation nor vulnerability reduction is effective or sustainable, the only rational prevention option concerns exposure, i.e., the selective relocation of settlements and infrastructure. This strategy, however, is configured as a ground of conflict between opposing value instances: on the one hand, the protection of the landscape and historical settlement heritage, understood as non-negotiable identity resources; on the other hand, a rationalist and functionalist vision that considers the persistence of anthropic uses in highly hazardous contexts as the result of historically determined settlement choices but today no longer acceptable in terms of residual risk. In this sense, post-disaster planning is called to a role of complex mediation between territorial memory and collective safety with approaches that, over time, have evolved into often divergent solutions. In this context, the session invites contributions that critically explore strategies, tools, and practices capable of redefining the balance between safety, memory, and settlement permanence in risk-exposed contexts. Contributions that analyze case studies, planning experiences, or regulatory paths that challenge reactive approaches and promote governance models oriented towards prevention, spatial justice, and the sustainability of re-settlement choices are particularly encouraged. The goal is to stimulate an interdisciplinary and operational discussion on how to make the principle of safety as a non-negotiable right effective in reconstruction or regeneration processes.

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Keywords:

  • Reconstruction Plans

  • Risk and Multi-Risk

  • Urban Regeneration and Resilience

  • Mitigation and Adaptation

  • Relocation

Sessione 10

Fragilità e futuro: reimmaginare le transizioni dai territori marginali dei piccoli comuni
Fragility and Future: Reimagining Transitions from the Marginal Territories of Small Municipalities

Coordinator: Laura Fregolent, Romina D’Ascanio

Sessione 10

Le transizioni ecologiche, digitali e sociali promosse a livello europeo attraverso il Green Deal (2019), la Strategia per la Biodiversità (2020) e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (ONU 2015) pongono una nuova enfasi sulla resilienza, la sostenibilità, la circolarità e l’inclusività dei percorsi di sviluppo. Tuttavia, queste traiettorie, per quanto ambiziose, restano spesso troppo generiche e distanti dalle condizioni concrete di molti territori fragili e marginali, come quelli rurali, montani o periferici.

Le aree marginali (montane, rurali, periferiche) sono oggi al centro di un rinnovato interesse, come luoghi strategici per ripensare le transizioni in chiave più giusta e territoriale. Le sole aree montane in Italia coprono circa il 35% della superficie del Paese, pari a circa 105.000 km², e ospitano circa il 17% della popolazione nazionale, ossia circa 10 milioni di persone.

Eppure, questi contesti continuano a essere spesso semplificati nella comunicazione pubblica, spesso racchiusi nella categoria di “borghi”: territori fermi nel tempo, pittoreschi ma immobili, più oggetto di narrazione turistica che soggetti di cambiamento. Questa visione stereotipata rischia di oscurare la realtà complessa dei piccoli comuni italiani, che sono invece spazi dinamici in cui si intrecciano fragilità strutturali e risorse culturali, difficoltà economiche e innovazioni sociali, crisi demografiche e nuove traiettorie di sviluppo.

In questi contesti, le politiche europee e nazionali, dal Green Deal al PNRR, offrono opportunità attraverso strumenti mirati come i Progetti per Piccoli Comuni, le Strategie delle Aree Interne, le comunità energetiche, le green communities e i modelli di smart villages. Tuttavia, la messa a terra di tali iniziative è spesso ostacolata da problemi di frammentazione amministrativa, debolezza della governance locale, carenza di competenze e scarsa capacità progettuale. In particolare, la pianificazione comunale e intercomunale si trova ad affrontare difficoltà legate alla scala, alla disponibilità di dati e risorse, e alla necessità di costruire visioni condivise tra realtà territoriali eterogenee. Eppure, proprio la collaborazione tra più comuni, in una logica di azione associata o integrata, può rappresentare una chiave per superare gli ostacoli strutturali e attivare risorse latenti.

Questa sessione propone una riflessione critica sulle transizioni nei territori marginali, mettendo a confronto esperienze di pianificazione e di politiche pubbliche che mostrano, da un lato, le forme deviate della transizione, ovvero strategie calate dall’alto, inefficaci o disallineate, e, dall’altro, le forme mirate, cioè pratiche territoriali radicate, co-progettate, flessibili e capaci di generare valore sociale e ambientale.

Saranno accolti contributi che esplorano:

  • l’efficacia delle politiche territoriali e di transizione nei piccoli comuni;

  • le applicazioni del PNRR in aree marginali e le relative criticità o innovazioni;

  • modelli di governance partecipata e strumenti per attivare risorse locali;

  • comunità verdi, comunità energetiche e pratiche di innovazione sociale;

  • esperienze di pianificazione comunale e intercomunale in contesti fragili;

  • esempi di cooperazione tra enti locali per la costruzione di visioni strategiche e operative condivise.

Particolare attenzione sarà riservata a contributi che derivano da ricerche in corso, programmi europei (Horizon, Interreg, Politiche di sviluppo rurale, ecc.), e riflessioni critiche su interventi territoriali già attuati o in fase di implementazione. L’obiettivo è fornire strumenti interpretativi e operativi per riconoscere e valorizzare le specificità dei territori marginali, orientando le transizioni verso percorsi più giusti, efficaci e radicati.

 

Parole chiave:

  • Aree marginali

  • Aree interne

  • Comunità energetiche

  • Green community

  • Cooperazione intercomunale

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The ecological, digital, and social transitions promoted at the European level through the Green Deal (2019), the Biodiversity Strategy (2020), and the Sustainable Development Goals (UN 2015) place new emphasis on resilience, sustainability, circularity, and inclusiveness of development paths. However, these trajectories, as ambitious as they are, often remain too generic and distant from the concrete conditions of many fragile and marginal territories, such as rural, mountainous, or peripheral areas. Marginal areas (mountainous, rural, peripheral) are today at the center of renewed interest, as strategic places to rethink transitions in a more just and territorial key. Mountain areas alone in Italy cover about 35% of the country's surface, equal to about 105,000 km², and host about 17% of the national population, or about 10 million people. Yet, these contexts continue to be often simplified in public communication, often enclosed in the category of "villages": territories frozen in time, picturesque but immobile, more objects of tourist narration than subjects of change. This stereotypical vision risks obscuring the complex reality of small Italian municipalities, which are instead dynamic spaces where structural fragilities and cultural resources, economic difficulties, and social innovations, demographic crises, and new development trajectories intertwine. In these contexts, European and national policies, from the Green Deal to the PNRR, offer opportunities through targeted tools such as Projects for Small Municipalities, Internal Areas Strategies, energy communities, green communities, and smart villages models. However, the implementation of these initiatives is often hindered by problems of administrative fragmentation, weakness of local governance, lack of skills, and poor planning capacity. In particular, municipal and inter-municipal planning faces difficulties related to scale, availability of data and resources, and the need to build shared visions among heterogeneous territorial realities. Yet, precisely the collaboration between multiple municipalities, in a logic of associated or integrated action, can represent a key to overcoming structural obstacles and activating latent resources. This session proposes a critical reflection on transitions in marginal territories, comparing planning experiences and public policies that show, on the one hand, the deviated forms of transition, i.e., top-down, ineffective, or misaligned strategies, and, on the other hand, targeted forms, i.e., rooted, co-designed, flexible territorial practices capable of generating social and environmental value. Contributions that explore:

  • the effectiveness of territorial and transition policies in small municipalities;

  • the applications of the PNRR in marginal areas and the related criticalities or innovations;

  • models of participatory governance and tools to activate local resources;

  • green communities, energy communities, and social innovation practices;

  • municipal and inter-municipal planning experiences in fragile contexts;

  • examples of cooperation between local authorities for the construction of shared strategic and operational visions. Particular attention will be given to contributions derived from ongoing research, European programs (Horizon, Interreg, Rural Development Policies, etc.), and critical reflections on territorial interventions already implemented or in the implementation phase. The goal is to provide interpretative and operational tools to recognize and enhance the specificities of marginal territories, guiding transitions towards more just, effective, and rooted paths.
     

Keywords:

  • Marginal Areas

  • Internal Areas

  • Energy Communities

  • Green Community

  • Inter-Municipal Cooperation

Sessione 11

Pratiche di comunità e pianificazione
Community Practices and Planning

Coordinator: Vincenzo Todaro

Sessione 11

In un contesto urbano sempre più stratificato e spesso conflittuale, caratterizzato da profonde trasformazioni sociali, ambientali ed economiche, da tempo le community planning practices emergono come modalità e al tempo stesso approccio strategico dal basso per promuovere processi decisionali inclusivi e territorialmente radicati. In tali contesti, il community planning si configura sempre più come una componente essenziale dei processi di trasformazione urbana orientati alla sostenibilità, alla giustizia spaziale e all’innovazione sociale

Come noto, tale approccio privilegia la partecipazione attiva delle comunità locali, ma al contempo evidenzia talvolta l’ambiguità e la debolezza del ruolo delle istituzioni pubbliche che spesso appaiono in difficoltà nel rispondere alle esigenze reali dei territori, sia per la mancanza di risorse, sia per l’incapacità di ascolto delle istanze della comunità. In parallelo, cresce l'importanza delle organizzazioni del Terzo Settore, che assumono un ruolo sempre più centrale nella progettazione e gestione delle risorse, intervenendo là dove le istituzioni pubbliche sono carenti o assenti. Tuttavia, in riferimento all’agire delle diverse categorie di attori, emergono anche esiti discutibili, frutto di retoriche che spesso combinano in maniera inefficace intenti dichiarati con reali interessi. Le pratiche partecipative e collaborative, infatti, non sempre si traducono in un effettivo empowerment delle comunità, risultando talvolta più un esercizio di legittimazione formale che un processo di cambiamento concreto.

Alla luce di tali premesse, la sessione intende esplorare le molteplici modalità attraverso cui le pratiche di comunità si integrano nei processi di pianificazione urbana e territoriale, con un’attenzione specifica agli strumenti operativi, alle dinamiche di governance e agli esiti territoriali. Appare particolarmente rilevante l'esigenza di riconoscere il passaggio da una mera accumulazione di pratiche, alla loro sistematizzazione che consenta di abilitare forme di co-produzione di azioni nel processo di pianificazione.

La sessione punta a promuovere un confronto interdisciplinare tra ricercatori, pianificatori, amministratori pubblici, attivisti e professionisti del territorio, nonché cittadini e comunità locali per riflettere criticamente sulle condizioni che rendono efficaci/sostenibili o meno le pratiche di community planning, considerando le sfide della transizione ecologica, della rigenerazione urbana e della coesione sociale.

La sessione accoglierà contributi che analizzino esperienze concrete e approcci metodologici volti a strutturare il coinvolgimento delle comunità in tutte le fasi del processo di pianificazione: dalla costruzione condivisa delle visioni strategiche fino alla gestione partecipata delle trasformazioni. Verranno valorizzate le esperienze riconducibili a strumenti quali laboratori di quartiere, mappe di comunità, piattaforme digitali per la partecipazione deliberativa, bilanci partecipativi, urbanistica tattica, progettazione partecipata e co-design urbano. Particolare interesse sarà rivolto a casi in cui tali pratiche abbiano prodotto innovazioni nei modelli di governance, costruito capitale sociale o generato cambiamenti significativi nell’uso e nella percezione dello spazio urbano.

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Parole chiave:

  • community planning

  • partecipazione comunità locali

  • integrazione sociale nella pianificazione

  • laboratori di quartiere

  • mappe di comunità

  • urbanistica tattica

  • co-design urbano

  • bilanci partecipativi

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In an increasingly stratified and often conflictual urban context, characterized by profound social, environmental, and economic transformations, community planning practices have long emerged as both a method and a strategic bottom-up approach to promote inclusive and territorially rooted decision-making processes. In such contexts, community planning is increasingly configured as an essential component of urban transformation processes oriented towards sustainability, spatial justice, and social innovation.

As is well known, this approach favors the active participation of local communities, but at the same time highlights the ambiguity and weakness of the role of public institutions, which often appear to struggle in responding to the real needs of the territories, either due to a lack of resources or an inability to listen to the community's demands. In parallel, the importance of Third Sector organizations grows, assuming an increasingly central role in the design and management of resources, intervening where public institutions are deficient or absent. However, regarding the actions of the various categories of actors, questionable outcomes also emerge, resulting from rhetoric that often ineffectively combines declared intentions with real interests. Participatory and collaborative practices, in fact, do not always translate into effective community empowerment, sometimes resulting more in an exercise of formal legitimization than a process of concrete change.

In light of these premises, the session aims to explore the multiple ways through which community practices integrate into urban and territorial planning processes, with specific attention to operational tools, governance dynamics, and territorial outcomes. It is particularly relevant to recognize the transition from a mere accumulation of practices to their systematization, enabling forms of co-production of actions in the planning process.

The session aims to promote an interdisciplinary dialogue among researchers, planners, public administrators, activists, and territory professionals, as well as citizens and local communities, to critically reflect on the conditions that make community planning practices effective/sustainable or not, considering the challenges of ecological transition, urban regeneration, and social cohesion.

The session will welcome contributions that analyze concrete experiences and methodological approaches aimed at structuring community involvement in all phases of the planning process: from the shared construction of strategic visions to the participatory management of transformations. Experiences related to tools such as neighborhood workshops, community maps, digital platforms for deliberative participation, participatory budgets, tactical urbanism, participatory design, and urban co-design will be valued. Particular interest will be directed towards cases where these practices have produced innovations in governance models, built social capital, or generated significant changes in the use and perception of urban space.

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Keywords:

  • community planning

  • local community participation

  • social integration in planning

  • neighborhood workshops

  • community maps

  • tactical urbanism

  • urban co-design

  • participatory budgets

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XIV GIORNATA INTERNAZIONALE DI STUDI INU |  13° INTERNATIONAL INU STUDY DAY

12 DICEMBRE 2025 Dipartimento di Architettura Università Federico II, Via Forno Vecchio, 36 - 80134 NAPOLI

Responsabile scientifico: Francesco Domenico Moccia 

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